Thursday, March 8, 2007

Documentario sulle possibili origini dell`uomo



Documentario molto interessante che ripercorre tutte le tappe dell`uomo seguendo l`evoluzione. Nel video vi sono le documentazioni di molti ritrovamenti di oggetti curiosi che fanno presupporre che durante l`evoluzione dell`uomo vi siano stati dei contatti con gli alieni.

OOPARTS il documentario



Video documentario sul ritrovamento di oggetti che non dovrebbero esistere appunto gli OOPARTS. Il video é fatto molto bene anche se aimé é in lingua inglese!
Buona visione.

Tuesday, March 6, 2007

Lo Zed









Costruzioni futuristiche del passato presenti sul nostro pianeta . Uno di questi è lo dello Zed , la famosa torre di Osiride chiusa nella piramide di Cheope. Le domande senza risposta sulla torre sono ancora molte e per approfondire la questione e' necessario muovere dagli antichi scritti in nostro possesso e dalle ipotesi degli studiosi piu' autorevoli. L'ingegnere italiano Mario Pincherle, autore di ben quattro libri sullo Zed, ritiene che lo Zed sia stato costruito da un'antica civilta' assai evoluta. Secondo Pincherle, lo Zed si sarebbe inizialmente trovato sulla cima della piramide a gradoni di Zoser e sarebbe stato trasportato nella Piramide di Cheope in un secondo momento , a causa del progressivo imbarbarimento dell'umanita' . La torre di granito , sacra al dio egizio Osiride, sarebbe stata capace di convogliare l'energia dell'universo. Pincherle, in uno dei suoi scritti, al fine di sostenere che la piramide fosse una sorta di bunker costruito per proteggere lo Zed , fa notare che "la parte interna della piramide e' in ricco granito levigato, in onore del prezioso reperto che custodiva; mentre all'esterno essa e' molto misera, e' in scadente pietra calcarea di fattura poco pregevole. L'opinione che la piramide non fosse opera degli egizi viene condivisa dal giornalista scientifico inglese Colin Wilson secondo il quale la civilta' egizia era assai arretrata tecnologicamente . Ma cosa simboleggerebbe lo Zed ? . Fra le numerosi ipotesi citiamo quella per cui la torre sarebbe stata la riproduzione di una colonna vertebrale con quattro vertebre . L'asse verticale del pilastro sarebbe il simbolo dell'energia che circola liberamente, mentre i quattro piani orizzontali, in relazione con i punti cardinali, fisserebbero tale energia. Adagiato a terra lo Zed sarebbe la immagine della morte, eretto, sarebbe simbolo di resurrezione .

Teschi del Destino







DONO DI COMPLEANNO .“Mio padre stava facendo degli scavi in America Centrale, nell'Honduras Britannico (l'attuale Belize). Scoprimmo le rovine di una città Maya, che, secondo lui avevano qualcosa a che vedere con Atlantide, per cui continuammo a scavare per sette anni. Poi, un giorno, tra le pietre, vidi qualcosa che scintillava. Era il mio diciassettesimo compleanno, e la cosa mi riempì di gioia”. A parlare è una serafica vecchia signora che sembra uscita pari pari dai romanzi di Agatha Christie. Si chiama Anna Mitchell Hedges, ed è la figlia adottiva di F.A.“Mike” Mitchell-Hedges, un personaggio molto popolare durante gli anni '20. Avventuriero inglese ambizioso e intelligente, Mike Mitchell-Hedges si spostò per anni tra le due Americhe, esercitando i più disparati mestieri (dal cow-boy al giocatore professionista, al rivoluzionario sotto Pancho Villa, all'archeologo) e frequentando indifferentemente il mondo dei miliardari e quello dei soldati di ventura. La cosa “che scintillava”, lo straordinario regalo di compleanno che riempì di gioia la giovane signorina Mitchell-Hedges è uno degli oggetti più misteriosi mai rinvenuti durante uno scavo archeologico: il Teschio del Destino, un cranio a grandezza naturale scolpito in un unico, immenso blocco di purissimo cristallo di rocca, lavorato con incredibile perizia e precisione. FRASE TAGLIATA. Così l'anziana signora Mitchell-Hedges ha descritto il ritrovamento del teschio in un'intervista per la trasmissione televisiva inglese Il Misterioso Mondo di Arthur C. Clarke. Un racconto sbrigativo, quasi fiabesco. E' dal lontano 1927, infatti, quando il teschio venne alla luce a Lubantuun, che Mike e Anna Mitchell-Hedges rifiutano di fornire qualsiasi altro particolare sul rinvenimento. In una sua voluminosa biografia, Danger My Ally ("Tesori nascosti e Mostri marini") l'enigmatico avventuriero dedicò al prezioso manufatto solo poche righe. “Portammo con noi (in un viaggio in Africa) anche il “Teschio del Destino” di cui molto si è parlato. Ho buone ragioni per non rivelare come ne sono venuto in possesso”. Seguiva una breve descrizione che insieme a questa frase venne “tagliata” nelle successive edizioni del libro. Perchè? Alcuni hanno pensato a una complessa storia di contrabbando, a un teschio sistemato a bella posta tra le rovine, in modo di essere “ritrovato” al momento opportuno. Perchè tanto interesse sui particolari del ritrovamento del “Teschio del Destino”? Perchè nessun ricercatore è in grado di affermare con sicurezza quando e da quale civiltà esso sia stato fabbricato. Secondo le poche notizie riportate dal già citato diario di Mitchell - Hedges padre, il teschio aveva 3600 anni, e veniva utilizzato dai Grandi Sacerdoti Maya per celebrare particolari riti magici. Ma l'origine “ufficiale” del popolo Maya è stimata intorno al 290 d.C., (anche se alcuni archeologi ritengono che sia molto precedente) e questa affermazione è dunque ritenuta improbabile. TESCHI GEMELLI. Gli esperti del British Museum fanno risalire il teschio alla civiltà Azteca, datandone l'origine (con moltissimi dubbi) intorno al 1300/1400 dopo Cristo. Ma cosa ci faceva un manufatto Azteco in una città Maya dislocata molte centinaia di chilometri più a sud? Non si sa neppure con quali strumenti il teschio fu costruito: è stata rilevata soltanto la probabile traccia di un acuminato scalpello. In tal caso, per costruirlo, sarebbero stati necessari almeno centocinquant’anni di lavoro ininterrotto. Ma, a complicare questo già complicato mistero, esposto al Museum of Mankind di Barrington Gardens, a Londra, si trova un teschio “gemello”, identico a quello di cui abbiamo parlato fino ad ora salvo che per un particolare. Il teschio dei Mitchell-Hedges, infatti, ha la mascella articolata, come in un cranio vero; quello esposto al museo ha la mascella fissa. I ricercatori sono concordi nell'affermare che i due oggetti sono stati fabbricati dalle stesse "mani”: il cranio di Londra potrebbe dunque fornire qui lumi sulla loro comune origine che la caparbia signora Mitchell-Hedges si ostina a negare. "Potrebbe"; solo che anche di questo secondo, prezioso oggetto si conosce poco o nulla. Il Museum of Mankind lo acquistò da Tiffany's, il celebre gioielliere di New York, nel 1898, per la somma di centoventi sterline. I dirigenti di Tiffany's non furono in grado (o non vollero) dare spiegazioni sulla sua prove¬nienza. Corse voce che facesse parte del bottino ammassato in Messico da uno sconosciuto mercenario in un epoca imprecisa. Neppure un terzo teschio di cristallo esposto al Musèe de L'Homme di Parigi, identico nello stile agli altri due ma di dimensioni ridotte, può fornire informazioni particolarmente interessanti. Gli esperti del Museo affermano che faceva parte di uno “scettro magico” Azteco del XIII o XIV secolo d.C., e che veniva usato per tenere lontano i serpenti e per prevedere il futuro. IMMAGINI PAUROSE. Si dice che gli inservienti del Museum of Mankind abbiano chiesto all'amministrazione di coprire con un panno nero il “loro” Teschio “of Doom” per non vederselo d'intorno mentre fanno le pulizie. Doom è una parola inglese che viene comunemente tradotta con “destino”, in mancanza di termini più appropriati. In realtà significa davvero “destino”, ma in un 'accezione malvagia, negativa, sinistra. E' chiaro che una testa di morto, per di più scintillante al minimo raggio di luce, non ha certo un aspetto “allegro” e può incutere un superstizioso terrore a chi vi lavora accanto, magari da solo e di notte. Ma, a rincarare la dose, circolano racconti tenebrosi. C'è chi afferma di aver visto paurose immagini materializzarsi all'interno dei teschi; chi assicura di averli sentiti gridare; chi ha perso la ragione “dopo aver fissato le loro orbite ipnotiche e vuote”. Mitchell-Hedges asserì che, quando il teschio venne ritrovato, i lavoranti indigeni si inchinarono ad adorarlo, spiegando che esso era un loro dio, e poteva indifferentemente guarire da ogni male e causare una morte spaventosa. Verità o leggenda? Suggestioni originate dal macabro aspetto delle sculture e dal mistero che circonda le loro origini? Oppure i teschi fanno davvero parte dell'inquietante categoria degli “oggetti maledetti” di cui pullulano le cronache di storia “minore” del mondo?

Il geode di Coso







Uno dei primi enigmatici reperti archeologici di cui si abbia avuto notizia e' "il geode di Coso", una pietra stranamente priva della sua tipica cavita'. Il 13 febbraio del 1961 tre gioiellieri, Mike Mikesell, Wallace Lane e Virginia Maxey , a caccia di minerali sulle montagne Californiane di Coso , trovarono un geode ricoperto di fossili nella roccia. Pensando ad un raro minerale i tre vollero esaminarlo prima di una eventuale lavorazione. L'oggetto fu tagliato a meta' con un'apposita sega e nel suo interno fu trovato un oggetto di natura artificiale. L'oggetto presentava un nucleo di metallo circondato da strati di materiale simile alla ceramica ed una copertura esagonale in legno.I tre gioiellieri si rivolsero ad alcuni scienziati: vennero fatte delle radiografie dell'oggetto, ancora incastrato nella pietra, e si scopri' che era composto da una molla a spirale, un chiodo ed una rondella . Sembrava la candela di una macchina , ma...di epoca preistorica dato che le incrostazioni fossili della pietra erano risultate vecchie di 500 mila anni ! Sottoposto ai raggi-X l'oggetto ricorda molto la candela di accensione di un motore a scoppio. Ulteriori indagini effettuate sulle fotografie e sulle radiografie rivelano che il pezzo metallico piu' importante dello oggetto, situato nella parte superiore , non sembra tuttavia corrispondere a nessuna parte della candela normalmente in uso ai giorni nostri. I gioiellieri misero in vendita il loro tesoro per 25.000 dollari, ma l'offerta non ebbe fortuna dato che nessuno lo acquisto' per timore di una frode.

Il Meccanismo di Antikythera






Il meccanismo di Antikythera è un oggetto di metallo, scoperto nel relitto di una nave vecchia di duemila anni, che apparentemente contiene degli ingranaggi e che costituisce quindi una sorta di strumento . Nel 1900 un gruppo di pescatori di spugne greci scoprì i l relitto di una nave al largo della piccola isola di Antikythera, fra la Grecia e Creta . Spedizioni archeologiche sottomarine inviate sul posto recuperarono vasellame, statue e oggetti corrosi , che facevano risalire il relitto a circa 2000 anni prima. Nel 1902 un archeologo del Museo Nazionale di Atene, Valerios Stais, esaminò alcuni di quegli oggetti e gliene capitò fra le mani uno di metallo che diventò noto con il nome di meccanismo di Antikythera. Uno studio più attento rivelò che si trattava di una scatola che allo esterno aveva dei misuratori e all'interno una massa complessa di ingranaggi, fra cui almeno venti ruote dentate . Tutte le superfici del congegno erano ricoperte di iscrizioni greche. Prima della scoperta di quel meccanismo, non era stato mai rinvenuto o descritto nessun oggetto o congegno paragonabile. Quel che si sapeva fino a quel momento della tecnologia ellenica escludeva la possibilità che in quel periodo si potesse costruire un congegno del genere. Sulla base delle anfore , del vasellame e degli oggetti rinvenuti nel relitto, i ricercatori sono ragionevolmente sicuri che il naufragio avvenne intorno al 65 a.C. , con un margine di 15 anni. Un esame delle lettere delle iscrizioni rivela che esse risalgono al primo secolo a.C. e che non sono certo posteriori alla nascita di Cristo. Questa data corrisponde alla lingua usata e alla natura dei riferimenti astronomici delle iscrizioni. L'iscrizione più estesa, per esempio, fa parte di un calendario astronomico straordinariamente simile a quello di cui si sa che fu compilato nel 77 a.C.- Attualmente si ritiene assai probabile che quel congegno fosse un calcolatore astronomico che meccanizzava i rapporti ciclici fra il sistema solare e le stelle. Forse era installato in una statua e usato come pezzo da esposizione. Forse funzionava a energia idraulica. Quasi tutto il lavoro di restauro e di ricostruzione che portò a questa conclusione si è svolto sotto la direzione di Derek J. de Solla Price, dell'Università di Yale. A partire dagli inizi degli anni '50 Price iniziò il restauro del congegno, che era incrostato e gravemente corroso. Lo stadio successivo fu la traduzione delle iscrizioni, che per la maggior parte sono illeggibili. Il sole è menzionato parecchie volte, Venere una volta, ed è nominata l'eclittica. Un'iscrizione, "76 anni, 19 anni," si riferisce al cosiddetto ciclo calippico di 76 anni e al ciclo metonico 19 anni (235 mesi lunari). La riga successiva comprende il numero 223 - un riferimento al ciclo delle eclissi di 223 mesi lunari. Nel 1972, dopo aver analizzato ai raggi X e ai raggi gamma i vari frammenti, Price stabilì molti particolari della costruzione e del funzionamento del congegno, che a quanto pare era costruito con un'asse centrale. Quando l'asse girava, entrava in funzione un sistema di alberi e di ingranaggi che faceva muovere delle lancette a varie velocità intorno a una serie di quadranti. Questi ultimi sono difficili da interpretare per via della corrosione. Quello anteriore tuttavia mostra chiaramente il moto del sole nello zodiaco e il sorgere e il tramontare di stelle e costellazioni importanti. I quadranti posteriori, che sono più complessi e meno leggibili, riguardavano i pianeti e i fenomeni lunari. A detta di Price il quadrante anteriore è "l'unico grande esemplare noto di uno strumento graduato dell'antichità". A suo parere quel congegno era racchiuso in una scatola di circa trenta cm. per 15 per 7,5 e sulle facce più grandi aveva dei pannelli con cerniere che portavano le iscrizioni. Dentro c'erano probabilmente almeno trenta ingranaggi, tutti di bronzo, e probabilmente tagliati da un unico pezzo di metallo. La potenza, a suo dire, era trasmessa a un grande ingranaggio che aveva quattro raggi uniti a mortasa nel bordo, dove erano saldati e fissati da ribattini. Secondo Price, "la caratteristica meccanica più spettacolare del meccanismo di Antikythera" è una piattaforma girevole differenziale, un meccanismo che si sarebbe rivisto soltanto nell'Europa del '500. Sulla base della sua ricerca, Price ha concluso che, contrariamente a quanto si era creduto in precedenza, una tradizione di alta tecnologia esisteva effettivamente in Grecia intorno all'epoca di Cristo. Prima si dava per scontato che i greci conoscessero il principio degli ingranaggi, ma si riteneva che i loro congegni muniti di ingranaggi fossero relativamente rudimentali. . Il “mistero” consiste nel fatto che, nell'80 a.C., simili apparecchi “non avrebbero dovuto esistere”: gli studiosi di cose antiche concordano infatti nell'affermare che in quel tempo la tecnologia non era in grado di produrre apparecchiature di tale precisione. Del resto non ne avrebbe prodotte per altri sedici secoli: nel meccanismo si trova infatti un ingranaggio differenziale, inventato (o reinventato) soltanto verso la fine del cinquecento. L'esistenza di oggetti impossibili e di scienze dimenticate stimolano alcune considerazioni. O si ammette l'esistenza di conoscenze “perdute” per qualche ragione ignota e poi riemerse (il che imporrebbe una riscrittura della storia dell'umanità su basi molto diverse da quelle comunemente accettate) o si deve riconoscere un altissimo grado di fallibilità da parte della storiografia ufficiale. Il Meccanismo di Antikythera non può essere il parto di un inventore solitario e ingegnoso (vi sono coinvolte troppe diverse conoscenze); di conseguenza la civiltà greca doveva essere, al contrario di ciò che si è sempre affermato, tecnologicamente evoluta.

STATUE IMPOSSIBILI







Chi scolpiva statue, sulla terra, prima dell'uomo? Cominciano a chiederselo gli scienziati dopo che in diverse parti del mondo sono state rinvenute manifestazioni artistiche ben più vecchie della data di nascita "ufficiale" dell'arte e più antiche della stessa specie umana moderna (che sarebbe "emersa" in Africa attorno ai 200 mila anni fa). Opere che, proprio perchè non sono inseribili nel quadro delle conoscienze consolidate, vengono tenute in una sorta di limbo e raramente vengono pubblicate, quasi non esistessero. Ecco tre casi "insoluti". VENERE PRIMORDIALE . Si tratta di una statuetta di pietra raffigurante una donna che venne rinvenuta negli anni Ottanta dell'archeologa israleana Na'am Goren-Imbar nel sito di Berekhat Ram, nel Golan settentrionale. E' incisa nel tufo vulcanico e ha forme molto rudumentali: si distinguono comunque la testa e il corpo e, nell'insieme, ricorda le tipiche "Veneri" paleolitiche. Con un'unica importante differenza: mentre le più vecchie fra queste ultime hanno 20-25mila anni, la figurina di Berekhat Ram ne avrebbe 300mila. Una data, che ha ovviamente suscitato molto scetticismo: ma la Goren-Inbar ha confermato che la statuetta è stata trovata all'interno di uno strato di tufo vulcanico spesso quattro metri, il che escluderebbe ogni possibilità di frammissioni fra strati geologici diversi. Attualmente il reperto è studiato dal professor Alexander Marschack, esperto di arte preistorica della Harvard University, che si è già espresso favorevolmente per quanto riguarda la datazione .

Aerei precolombiani di Bogotà







In un'antica tomba nel sud America fu trovato un gioiello in oro molto originale. Il reperto, risalente a 1800 anni fa, venne frettolosamente classificato come "ornamento religioso". La sua forma è così simile ai più veloci aerei contemporanei che i tecnici dell'Aereonautical Institute di New York lo esaminarono approfonditamente. Si riconoscono le ali a delta, la cabina, il parabrezza, la coda. Attualmente il prezioso aereoplanino si trova alla State Bank di Bogotà (Colombia). Non è l'unico esemplare. Nelle tombe precolombiane sono stati trovati molti altri oggetti simili.

Le "lampade" di Dendera







In diversi luoghi all’interno del tempio tardo Tolemaico di Hathor a Dendera, in Egitto, strani bassorilievi sulle pareti intrigano da anni gli studiosi. Difficile, infatti, per loro spiegarne la natura, sulla scorta di temi mitico-religiosi tradizionali, ma nuove e più moderne interpretazioni ci giungono dal campo dell’ingegneria elettronica. In una camera, il numero 17, il pannello superiore, mostra alcuni sacerdoti egiziani che fanno funzionare quelli che appaiono come tubi oblunghi che compiono diverse funzioni specifiche. Ogni tubo ha all’interno un serpente che si estende per tutta la sua lunghezza. L’ingegnere svedese Henry Kjellson, nel suo libro "Forvunen Teknik" (tecnologia scomparsa) fece notare che nei geroglifici quei serpenti sono descritti come "seref", che significa illuminare, e ritiene che si riferisca a qualche forma di corrente elettrica. Nella scena, all’estrema destra, appare una scatola sulla quale siede un’immagine del Dio egiziano Atum-Ra, che identifica la scatola quale fonte di energia. Attaccato alla scatola c’è un cavo intrecciato che l’ingegner Alfred D. Bielek identifica come una copia esatta delle illustrazioni odierne che rappresentano un fascio di fili elettrici. I cavi partono dalla scatola e corrono su tutto il pavimento, arrivando alle basi degli oggetti tubolari, ciascuno dei quali poggia su un sostegno chiamato "djed" (lo Zed) che Bielek identificò con un isolatore ad alto voltaggio. Ulteriori immagini trovate all’interno della cripta mostrano quelle che potrebbero essere altre applicazioni del congegno: sui bassorilievi si vedono uomini e donne assisi sotto i tubi, come in una postura per creare una modalità ricettiva. Che tipo di trattamento irradiante vi si stava svolgendo? (fonte: Edicolaweb)

UN PROIETTILE CONTRO l’uomo di Neanderthal?







Nel museo di Storia Naturale di Londra si trova un teschio datato circa 38.000 anni fa, periodo Paleolitico, rinvenuto in Zambia nel 1921. Sulla parete sinistra del teschio c’è un foro perfettamente rotondo. Stranamente non ci sono linee radiali attorno al foro o altri segni che indichino sia stato prodotto da un’arma, una freccia o una lancia.

Nella parete opposta al foro, il teschio è spaccato e la ricostruzione dei frammenti mostra che il reperto è stato rotto dall’interno verso l’esterno, come si fosse trattato di un colpo di fucile. Esperti forensi dichiarano che non può essere stato nulla di diverso da un colpo esploso ad alta velocità con l’intenzione di uccidere.

Chi possedeva un fucile 38.000 anni fa? Certamente non l’uomo delle caverne, ma forse una razza più avanzata e civilizzata.

Nel Museo di Paleontologia di Mosca, inoltre, è presente un altro reperto simile, il cranio di un bisonte, rinvenuto a Yakuzia (Siberia) e vissuto dai 30.000 ai 70.000 anni fa, sulla cui fronte è presente un buco circolare.

Un altro caso simile viene citato dal giornalista Victor Louis dalla Russia, il quale riferisce che nel Museo di Paleontologia di Mosca si trova un cranio perfettamente conservato di un bisonte dalle lunghe corna rinvenuto nella Yakuzia (Siberia orientale). Secondo i paleontologi tale specie sarebbe vissuta dai 30.000 ai 70.000 anni fa. Al centro della sua fronte è visibile un foro rotondo che, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere stato causato da una pallottola!

La mappa di Piri Reis





Ecco uno di quegli oggetti che a norma di storia non dovrebbe esistere: "La Mappa di Piri Reis". Piri Reis nacque nel 1470 a Gelibolu l'attuale Gallipoli. All'età di 14 anni s'imbarcò sulla nave dello zio Kemal Reis corsaro turco dedito a scorrerie nel Mediterraneo. Nel 1499 Piri Reis fu nominato ammiraglio della flotta Ottomana. Come risultato dei suoi numerosi viaggi scrisse un trattatato di geografia " Kitabi Babriye", in cui riportò la dislocazione dei golfi, delle insenature, delle secche, e delle rotte in uso all'epoca nel mar Mediteranneo Egli disegnò nel 1513 su una pelle di gazzella finemente conciata una carta geografica. E dalle note scritte dall'ammiraglio a margine del documento, sappiamo per sua ammissione, che il disegno è stato copiato da mappe più antiche (circa venti) Dove Piri Reis abbia raccolto quelle mappe sorgenti, non ci è dato di sapere. Si può supporre che siano state portate a Costantinopoli, insieme a molti altri documenti, in un estremo tentativo di preservarli dopo la distruzione della biblioteca d'Alessandria d'Egitto causata dal terremoto e conseguente maremoto nel 390 d.C. La mappa (molto probabilmente frammento di una più grande) fu scoperta arrotolata su un polveroso scaffale nel 1929 quando si decise di fare un inventario dei reperti conservati nel Palazzo Topkapi a Costantinopoli (l'attuale Istanbul). Solo nel 1960, un eminente studioso, Charles Hapgood, volle cercare di capire a cosa si riferisse la mappa. Senza specificare cosa fosse, ma facendola copiare dai suoi studenti e presentandola come un lavoro di quel gruppo, spedì i frammenti dei disegni alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e alla Nasa, chiedendo se fosse possibile sapere a cosa si riferissero. La prima risposta venne dalla Nasa, e fu stupefacente! Non sono carte strane, sono semplicemente la rappresentazione delle coste dell'America sull'Atlantico, delle coste Africane e della Costa della Principessa Martha della Terra della Regina Maud nell'Antartide com'era prima che fosse sepolto dai ghiacci, vale a dire dai 4000 ai 6000 anni a.C. E ancor più stupefacente, la mappa pare a volte ripresa dall'alto. Chi aveva fatto quei disegni 4000 anni prima di Cristo? E dall'alto per giunta? La conformazione delle coste dell'Antartide sono stati rilevati sotto la crosta di ghiaccio solo nel 1949 grazie a rilievi sismografici. Inoltre nelle numerse note apportate da Piri Reis a margine, si parla di terre in cui popolazioni non civili girano nude, agghindate con penne di pappagalli di vari colori; di mostri con pellicce bianche, ed enormi serpenti. Si possono vedere le Ande e il disegno di lama, animali sconosciuti in Europa. La scienza ufficiale fino ad allora non si era mai occupata della mappa di Piri Reis perché "scomoda". Con ricerche più approfondite si venne a sapere che l'Ammiraglio da ragazzo aveva conosciuto un marinaio catturato in una delle sue scorrerie dallo zio corsaro. Il marinaio aveva navigato con Cristoforo Colombo e raccontò come Colombo consultasse strane mappe diverse da quelle allora conosciute. Furono queste che ritenute attendibili dal navigante genovese lo convinsero ad intraprendere il suo viaggio? Altre mappe antiche da quella di Oronzio Fineo disegnata nel 1532 all'atlante di Mercatore, riportano i confini di un mondo che all'epoca in cui questi eminenti e accreditati geografi vissero, non potevano essere conosciuti. Si suppone quindi che anche questi illustri cartografi abbiano avuto accesso a mappe molto antiche. Anche la Carta Mondiale di Re Giacomo ci mostra il deserto del Sahara come una terra fertile con laghi e fiumi e grandi città. E la Buache World Map ci mostra come l'Antartide fosse un continene diviso in due grandi isole con un grande mare interno come si potrebbe vedere oggi se non fosse coperto da 1,5 km. di ghiaccio. Possiamo osare pensare allora, a scanso della scienza ufficiale, che queste testimonianze scritte, insieme agli innumerevoli e misteriosi reperti archeologici che affiorano nelle foreste, nei deserti, in località distanti tra loro in tutto mondo siano la prova che noi "moderni" non siamo stati i primi nella lunga storia del nostro pianeta, ma che una grande civiltà sia esistita prima, distrutta da un enorme cataclisma che ne ha cancellato le tracce? Tutto farebbe supporre di sì perché non solo i documenti a cui abbiamo accennato ce ne danno conferma, ma se volgiamo la nostra attenzione ai miti e alle tradizioni degli innumerevoli popoli che abitano il nostro pianeta notiamo che tutti hanno un denominatore comune che preso in esame ci porterà inevitabilmente ad una visione più ampia e dilatata nel tempo della comprensione delle nostre origini.

La pila di Bagdad







Nel museo di Bagdad è conservato un vaso di argilla di 15cm e mezzo di altezza contenente un cilindro di rame di 12cm x4.
La parte superiore del cilindro è saldata con una lega 60-40 di piombo-stagno e sigillata con bitume mentre il fondo è chiuso con un disco di rame e sigillato anch’esso con bitume.
Nella parte superiore vi è inoltre un’asta di ferro abbastanza corrosa sospesa al centro del cilindro di rame.
Ora è ovvio che le analogie con una pila elettrica si sprecano.Per la cronaca il vaso risale a 2000 anni fa circa ed è stato scoperto dall’archeologo australiano Wilhelm Konig.

La carta di Oronzo Fineo







Charles Hapgood nella sua ricerca di portolani antichi,oltre alla carta di Pirì Reìs, si imbatté in una raffigurazione del 1531, opera di Oronzio Fineo chiamata, appunto, "Mappamondo di Oronzio Fineo". Tale mappa è il risultato di copiature di numerose carte "sorgenti" e rappresenta la parte costiera del continente antartico priva di ghiacci.In essa il continente antartico è fedelmente riprodotto e posizionato , geograficamente, perfettamente. Su di esso vengono annotate catene montuose e fiumi, quali effettivamente abbiamo scoperto siano esistiti, ora coperti dalla coltre di ghiacci. La parte interna invece e priva di raffigurazioni fluviali e montuose, il che ci indica che tale parte, a differenza di quella costiera, era già ricoperta di ghiacci.Il mappamondo di Fineo sembra essere un'altra prova convincente riguardo alla possibilità di una remota colonizzazione del continente australe e lo ritrae in un'epoca corrispondente alla fine dell'ultimo periodo glaciale.La carta mostra anche numerosi estuari, insenature e fiumi, a sostegno delle moderne teorie che ipotizzano antichi fiumi in Antartide in punti in cui sono oggi presenti ghiacciai come il Beardmore e lo Scott. I vari carotaggi effettuati negli ultimi tempi sono a sostegno della tesi che l'Antartide era un tempo abitabile: i campioni sono ricchi di sedimenti che rivelano condizioni differenti di clima, ma soprattutto si nota una rilevante presenza di grana fine, come quella che viene trasportata dai fiumi. Inoltre, i carotaggi rivelano che solo intorno al 4000 a.C. l'Antartide venne completamente ricoperto dai ghiacci.

Vimana: le navicelle degli antichi indiani




L'imperatore indiano Ashoka creò la "Società Segreta dei Nove Uomini Ignoti": grandi scienziati indiani che avrebbero dovuto catalogare tutte le scienze. Ashoka mantenne il loro lavoro segreto perchè aveva paura che la tanto evoluta scienza catalogata da questi uomini, derivata dagli antichi testi indiani, potesse essere usata per il fine malvagio della guerra. .. I "Nove Uomini Ignoti" scrissero un totale di nove libri, probabilmente uno ciascuno. Uno di essi si intitolava "I Segreti della Gravità!". .. Probabilmente si trova ancora da qualche parte, custodito in una biblioteca segreta in India, in Tibet o altrove (forse persino in Nord America)... Ashoka, inoltre, era a conoscienza di guerre devastanti nelle quali erano stati utilizzati veicoli particolarmente avanzati e "armi futuristiche" che avevano distrutto l'antico "Impero Rama" dell'India, diverse migliaia di anni prima. Solamente pochi anni fa i cinesi hanno scoperto alcuni documenti sanscriti a Lhasa, in Tibet, e li hanno spediti alla University of Chandrigarh, perchè venissero tradotti. Recentemente, il Dr. Ruth Reyna, di quell'università, ha detto che i documenti contengono istruzioni per la costruzione di navi spaziali interstellari! Il loro metodo di propulsione, ha detto la dottoressa, era "anti-gravitazionale" e basato su un sistema analogo a quello del "laghima": "una forma centrifuga abbastanza forte da contrastare la forza gravitazionale", sconosciuto potere dell'ego, presente nella struttura fisiologica dell'uomo. Secondo l'Hyndu Yogis, è questo "l'anghima" che permette ad una persona di levitare. Il Dr. Reyna ha affermato che a bordo di queste macchine, che nel testo erano chiamate "Astra", gli antichi potrebbero aver inviato una missione di uomini verso qualsiasi pianeta, secondo quello che si legge nel documento, che si ritiene abbia migliaia di anni. Si diceva, inoltre, che i manoscritti rivelassero il segreto dell'antima": "il copricapo dell'invisibilità", e del "garima": "come diventare pesanti come una montagna di piombo".

Naturalmente gli scienziati indiani non presero i testi molto sul serio, ma poi cominciarono a credere di più nella loro validità quando i cinesi annunciarono che avrebbero utilizzato certi dati per la ricerca necessaria al loro programma spaziale! Questo è stato uno dei primi casi in cui un governo ha ammesso di fare ricerche sull'antigravità. I manoscritti non dicevano con certezza se fossero mai stati fatti viaggi interplanetari ma menzionava, tra l'altro, il progetto di un viaggio sulla Luna, sebbene non sia chiaro se questo viaggio sia stato veramente compiuto. [Ma è noto che il Ramayana descrive una battaglia tra Vimana e Valix (veicoli volanti) avvenuta sulla Luna.]... Uno dei grandi testi epici indiani, il "Ramayana", contiene la storia molto particolareggiata di un viaggio sulla luna a bordo di un Vimana (o "Astra"), ed in effetti descrive una battaglia sulla luna con un "Asvin" (un veicolo di Atlantide). [L'] "Impero Rama" (India settentrionale e Pakistan) .. si sviluppò almeno quindicimila anni fa nel subcontinente indiano e fu nazione ricca di tanti grandi e sofisticate città, molte delle quale devono essere ancora ritrovate nei deserti del Pakistan e dell'India settentrionale ed occidentale. Rama esistette, sembra, accanto alla civiltà di Atlantide, in mezzo all'Oceano Atlantico, e venne guidata da "illuminati Re-Sacerdoti", che erano i governatori delle città. Le sette più grandi città-capitali dell'Impero Rama erano conosciute nei testi classici Hindu "Le sette Città Rishi". Secondo gli antichi testi indiani, la gente aveva delle macchine volanti chiamate"Vimana". Gli antichi testi epici indiani descrivono il Vinama come un veicolo circolare a due piani, dotato di vari oblò e di una cupola, propio come ci imma giniamo un disco volante. Il Vimana volava alla "velocità del vento" ed emetteva un "suono melodioso". C'erano almeno quattro diversi tipi di Vinama: alcuni a forma di disco, altri come lunghi cilindri ("veivoli a forma di sigaro"). .. Uno dei Vimana descritti era a forma di sfera, ed era portato ad una grande velocità da un potente vento generato dal mercurio. Si muoveva come un UFO, andando su, giù, avanti e indietro come desiderava il pilota...

I Veda, antichi poemi Hindu, ritenuti i testi indiani più antichi, descrivono i Vimana di varie forme e dimensioni:"l'ahnihotra-vimana" con due motori, i "vimana elefanti" con più motori, e altri modelli chiamati martin-pescatore, ibis e con nomi di altri animali... Gli antichi testi sui Vimana sono numerosi, e ci vorrebbero molti libri per riportare tutto quello che dicono. Gli antichi indiani, che costruirono questi apparecchi, scrissero interi manuali di volo sul modo di guidare i vari tipi di Vimana, molti dei quali (testi) esistono ancora, ed alcuni sono stati tradotti in inglese. Il "Samara Sutradhara" è un trattato scientifico che parla di ogni possibile aspetto del volo su di un Vimana. Ci sono 230 strofe che riguardano la costruzione, il decollo, il modo di viaggiare con andatura di crociera per migliaia di chilometri, gli atterraggi convenzionali cosi come quelli d'emergenza e, persino, eventuali collisioni con gli uccelli. Nel 1875 venne rinvenuto in tempio indiano il Vaimanika Sastra, un testo del quarto secoloavanti Cristo scritto da Bharadvajy il Saggio,utilizzando quali fonti testi ancora più antichi. Esso trattava del funzionamento dei Vimana e comprendeva informazioni sulla manovrabilità, sulle dei veivoli dai temporali e dai fulmini e su come cambiere la propulsione da un'alimentazione ad "energia solare" ad una priva di energia; il che suona come "anti-gravità". Il Vaimanika Sastra (o Vymaanika-shaastra) ha otto capitoli di diagrammi che descrivono tre tipi di veivoli, compresi gli apparati che non possono prendere fuoco nè rompersi. Il testo, inoltre, cita 31 elementi fondamentali di queste macchine e 16 materiali con cui sono costruite che assorbono luce e calore; motivo per il quale venivano ritenuti adatti per la ricostruzione dei Vimana. .. In un'altra fonte indiana, il Samar, i Vimana erano "macchine di ferro, compatte ed eleganti, con una carica di mercurio che veniva sparata fuori, dalla parte posteriore, nella forma di una fiamma rombante". Un altro lavoro chiamato Samaranganasutradhara descrive come venivano costruiti i veicoli.

...Non sembra esserci dubbio che i Vimana fossero dotati di qualche dispositivo di "anti-gravità". I Vimana decollavano in senso verticale, ed erano capaci di volteggiare in cielo come i moderni elicotteri o i dirigibili. .. I Vimana erano custoditi in un Vimana Griha, una specie di hangar, e si dice che venivano a volte alimentati da un liquido giallognolo, ed altre da una specie di composto di mercurio. .. È probbile che gli ultimi scrittori riguardo i Vimana agissero solamente in quanto studiosi-osservatori, ispirandosi a testi più antichi, e perciò che facessero compresibilmente confusione sul principio dell'alimentazione dei Vimana. Il liquido "bianco-giallognolo" fa pensare alla benzina, e forse i Vimana avevano un gran numero di diverse fonti di propulsione, compresi i "motori a reazione".

È interessante notare che furono i nazisti a sviluppare i primi motori a reazione, per le loro "bombe volanti" V-8. Hitler e la dirigenza nazista erano straordinariamente interessati all'antica India e al Tibet e mandarono spedizioni in entrambe questi paesi, ogni anno a partire dagli anni '30, e forse fu da questi popoli che i nazisti ottennero una parte delle loro conoscenze scientifiche.

.. Scienziati dell'ex Unione Sovietica hanno scoperto quelli che essi chiamano "antichi strumenti usati su veicoli per la navigazione cosmica" in alcune grotte del Turkestan e del deserto del Gobi. I "dispositivi" sono soggetti emisferici di vetro o porcellana, che finiscono in un cono con una goccia di mercurio all'interno. .. Uno scritto trovato a Mohenyodaro, in Pakistan, (ritenuta una delle "Sette Città Rishi dell'Impero Rama") e non ancora decifrato, è stato ritrovato anche in un altra località: l'Isola di Pasqua!, [dove è] chiamato lo "scritto di "Rongo Rongo". ..

Monday, March 5, 2007

Le Pietre di Ica






Ad Ica in Perù vi è un fisico appassionato di archeologia , il dottor Javier Cabrera che è in possesso di circa ventimila pietre decorate con incisioni ad oggi considerate senza un senso storico.
Queste pietre in andesite grigia (materiale difficilissimo da incidere per la sua durezza) raffigurano uomini che cavalcano dinosauri, operazioni chirurgiche a cuore aperto, trasfusioni di sangue, tagli cesarei ecc.
Il Professor Cabrera ha ricevuto in dono le prime pietre da un contadino del posto, e poi accortosi dell’anomalia di alcuni disegni ha cominciato ad interessarsi a tali oggetti, ed ha scoperto che la gente locale è solita ritrovare tali pietre sin dal 1500.
Purtroppo non è semplice analizzare questi oggetti per scoprirne la datazione, comunque rimangono un mistero.

Sfere misteriose





C'è un mistero in Sud Africa. Da anni, i minatori del Transvaal occidentale, nei pressi della cittadina di Ottosdal, continuano a trovare sfere metalliche in uno strato sedimentario del Precambriano. Le sfere sono di due tipi. Il primo è rappresentato da semplici sfere di metallo bluastro chiazzato di bianco. Le sfere del secondo tipo sono invece cave, e al loro interno si trova un materiale bianco spugnoso. La maggior parte delle sfere ha le dimensioni di una palla da baseball e la somiglianza, in una di tali sfere, è accentuata da tre linee parallele che ne solcano la superficie. Fino a oggi sono state dissotterrate centinaia di queste sfere. Per il loro aspetto le si direbbe opera dell'uomo, ma la loro localizzazione le fa risalire ad almeno 2,8 miliardi di anni fa. Il professor A. Bisschoff, un noto geologo dell'Università di Potchefstroom, ritiene che si tratti di concrezioni di limonite, ma tale teoria presenta parecchi punti deboli. La limonite è una sorta di ferro che si forma dall'ossidazione di diversi minerali ferrosi. E' comune nelle paludi e in alcuni tipi di roccia sedimentaria, in particolar modo nel calcare. I pittori la conoscono come una fonte di pigmenti d'ocra e di terra d'ombra. E' assodata la sua tendenza a formare concrezioni (il termine geologico per le dure masse rocciose che si formano col tempo intorno a un nucleo centrale), ma le concrezioni di limonite sono gialle, marroni o nere; certamente non blu a chiazze bianche. Non le si trova come sfere isolate ma in grappoli, solitamente saldate l'una all'altra, e non si è mai riscontrata su di esse alcuna scanalatura. La loro durezza, secondo la scala di Mohs, va da 4 a 5,5; sono quindi relativamente tenere. Le sfere di metallo del Sudafrica sono talmente dure che l'acciaio non le scalfisce.Se non si tratta di limonite, di quale sostanza sono fatte? Secondo Roelf Marx, curatore del Klerksdorp Museum dove sono raccolte diverse di tali sfere, sono state ritrovate in uno strato di pirofillite. Potrebbero dunque essere delle concrezioni di tale minerale siliceo? Ancora una volta, la risposta non sembra essere quella giusta. Se sottoposti a pressione, i minerali silicei danno origine a cristalli, non a sfere metalliche. La pirofillite somiglia molto al talco e viene utilizzata più o meno per gli stessi scopi. Può formare masse granulari, che risultano però untuose al tatto e sono di colore molto chiaro. La questione della durezza è l'argomento definitivo: i valori della scala di Mohs per la pirofillite vanno da 1 a 2, tra i più bassi in assoluto. Ma se non sono formazioni naturali, qual' è l'origine delle sfere? Il loro aspetto è quelle di un manufatto, creato in fonderia utilizzando un acciaio di speciale durezza per uno scopo preciso. A dispetto di tutto ciò, non possono essere opera dell'uomo. Secondo gli esperti, la prima comparsa dell'umanità moderna, Homo sapiens sapiens, risale a circa 100.000 anni fa, nell'Africa meridionale. Il luogo è quello giusto, ma il tempo e il livello di sviluppo tecnologico sono completamente sbagliati. Questi primi esseri umani vivevano l'esistenza semplice dei cacciatori-raccoglitori. Utilizzavano rocce, ossa e legno, ma non conoscevano l'uso dei metalli. Anche il più semplice manufatto in ferro era ben al di là delle loro possibilità, per non parlare poi dell'acciaio temprato. Anche volendo ignorare il problema dell'abilità tecnica, la datazione resta inconciliabile. Il predecessore dell'uomo moderno, l'Homo erectus, costruiva i propri ripari nella gola di Olduvai 1,8 milioni di anni fa, molto prima della comparsa dei sapiens ma di gran lunga dopo la comparsa delle sfere nel Transvaal occidentale. Anche il più antico Homo abilis costruiva primitivi attrezzi di pietra (ma non sfere metalliche) tra i 2,5 e i 3 milioni di anni fa: sempre troppo tardi per render conto dei misteriosi ritrovamenti. Difatti le sfere erano già al loro posto quando i primissimi ominidi si differenziarono dalle scimmie, in un momento indefinito tra i cinque e gli otto milioni di anni fa! Il periodo Precambriano comprende quel lungo arco della storia geologica che va dalla formazione del pianeta, 4,6 miliardi di anni fa, all'inizio dell'era Paleozoica, circa 600 milioni di anni fa. I ritrovamenti fossili risalenti a tale periodo sono rari, ma i geologi sono riusciti a ricostruire un possibile scenario. L'atmosfera, innanzitutto, era molto probabilmente simile a quella odierna: un miscuglio di azoto, anidride carbonica, vapore acqueo e ossigeno. Esistevano mari e continenti, ma i loro confini erano totalmente diversi da quelli odierni. Il mondo era dominato da ciò che gli scienziati chiamano supercontinenti, enormi masse terrestri primeve che col tempo si frantumarono per formare i continenti attuali. La vita era già presente sul pianeta. Alghe e batteri fossili sono stati ritrovati in rocce sudafricane risalenti a più di 3 miliardi di anni fa. Un'ulteriore conferma viene dalla presenza di stromatoliti, strutture rocciose che si formano nelle acque basse, sotto le praterie di alghe. non vi era traccia della presenza della vita sulla terraferma e persino le conchiglie - un'indicazione di vita marina come la si conosce oggi - erano ancora inesistenti. Le tracce più avanzate di vita che i geologi hanno ritrovato sono quelle di organismi multicellulari invertebrati, i quali sono classificati come animali, ma si trovano, sulla scala evolutiva, qualche gradino sotto la medusa. Appare ovvio che nessuna delle creature viventi del Precambriano può aver fabbricato le sfere del Transvaal.Ma questi non sono i soli manufatti strani che richiedono una spiegazione. Maximilien Melleville, vicepresidente della Société Académique di Laon, in Francia, riportò in the Geologist dell'aprile del 1862 la scoperta di una perfetta sfera di gesso in un letto di lignite dell'Eocene, nei pressi della sua abitazione. la sfera e l'ambiente immediatamente circostante mostravano strani segni di un'accurata lavorazione. Da un blocco di maggiori dimensioni era stata ricavata la sfera, la quale era stata successivamente liberata con un taglio netto. In poche parole, un manufatto. Era da escludere, secondo quanto riportato dallo stesso Melleville, che la sfera fosse stata posta nello strato in epoca più tarda. Ancora una volta ci troviamo in presenza di un oggetto che sembra opera dell'uomo, ma la posizione della sfera nello strato di lignite gli assegna un'età tra i 45 e i 55 milioni di anni, ben prima della comparsa dell'uomo sul pianeta . Un mistero ancor più grande circonda il resoconto di un ritrovamento più recente. Nel 1928 un certo Atlas Almond Mathis, un minatore, stava lavorando in profondità in una miniera due miglia a nord di Heavener, in Oklahoma, quando un'esplosione dissotterrò alcuni blocchi cubici, ben levigati, il cui lato misurava all'incirca 30 centimetri e che sembravano fatti di un qualche tipo di cemento. Uno scavo successivo rivelò che i blocchi appartenevano a un muro lungo più di 130 metri. Il fatto che fossero stati trovati in un filone di carbone in quell'area attribuiva loro un'età di almeno 286 milioni di anni. L'ovvia domanda era: chi aveva costruito il muro? Forse le stesse persone che avevano posto la catena d'oro "di antica e caratteristica fattura" in ciò che nei millenni era diventata la vena carbonifera delle miniere di Taylorville o Pana, nel sud dell'Illinois. Fu scoperta dalla signora S. W. Culp in un grosso pezzo di carbone che aveva spezzato per accendere il suo focolare.

L'impronta di Burdick







The Burdick Trak, è un’impronta di piede umana, nel limo del cretaceo, trovato nello strato del Cross Branch, un affluente del Paluxy River in Glen Rose ,Texas, Esso è stato al centro di controversie per la perfezione della figura, ed è stato considerato da alcuni come fosse un’intaglio. Nel 1990 il direttore Carl Baugh e il geologo Don Patton fece una ricerca a largo raggio per verificarne l’autenticità.

Fin dalla rimozione dell’impronta dal fiume molti anni fa, doveva essere trovato il sito originario. Questo venne ricercato prendendo come indizio la struttura morfologica e della composizione minerale originale. Dopo molti giorni di ricerca uno strato di Cross Branch fu messo in rilievo e apparve,come la "matrice" (colore corteccia avorio, grana fine,con incluso calciti cristalline). Un esperto gioielliere tagliò una sottile porzione sia dallo strato Della Burdick Track che dal Cross Branch. Per prova.

Cordell Van Huse, esperto gioielliere di Dallas, fece la sezione dell’ impronta. Attraverso la sezione del calcagno,rilevò la struttura della roccia intorno al contorno del calcagno. Attraverso la sezione dell’area del dito del piede si mostra chiaramente le linee di pressione intorno al contorno delle linee del dito.Questa traccia può non essere stata intagliata e ancora contiene queste fattezze. The Burdick Track è larga16,5 cm e 35,5 cm lunga. Queste dimensioni di un’impronta non sono in contraddizione con quegli individui che abitualmente vanno a piedi scalzi. La lunghezza dell’impronta indicherebbe che la persona potrebbe essere stata alta 2,13 metri.

Lo staff del Creation Evidence Museum ha scoperto più di 80 impronte di piedi umani “in situ" tra le impronte dei piedi di dinosauri sul Paluxy River. L’impronta di Burdick, trovata molti anni fa, è un esempio originario.

L’impronta di una mano risalente al periodo Cretaceo





Questa foto mostra l’impronta di una mano umana trovata in una roccia risalente al periodo Cretaceo, nello stesso strato con l’impronte dei piedi dei dinosauri di Glen Rose.L’impronta fossile della mano sinistra è così precisa che mostra l’effetto delle impronte digitali,l’impronta del tessuto connettivo tra il dito pollice ed il dito indice, e l’impronta profonda dovuta alla penetrazione del dito medio nel fango.

TAZZA DA THE






SULPHUR SPRINGS, Arkansas

Questa , è la dichiarazione giurata di Frank J. Kennard,( in data 27 Novembre 1948 a Jullia L. Eldred N.P. My commission expires May 21, 1951 - Benton Co):

“Mentre stavo lavorando nel Municipal Electric Plant in Thomas, Okla in 1912,venne alla luce un pezzo di solido carbone che era troppo grande per l’uso.Lo ruppi con un martello da fabbro. Questa ciotola di ferro ,cadde dal centro, lasciando il calco,o la matrice della stessa nel pezzo di carbone. Jim Stull ( un dipendente della compagnia) era presente alla rottura del pezzo di carbone, e vide la ciotola uscire da esso .Rintracciai l’origine del carbone, e trovai che esso veniva dalle WILBURTON, OKLAHOMA Mines”

Al Carbone delle miniere di Wilburton è riconosciuta un’età di 295 milioni di anni.

La più vecchia impronta di scarpe





La più vecchia impronte di piede finora trovata fu scoperta nel giugno 1968 da William J. Meister in una spedizione ad Antilope Spring, 43 miglia da ovest di Delta, Utah. Era accompagnato da sua moglie e due figlie, e da Mr. e Mrs. Francis Shape e le loro due figlie.Durante la campagna di scavo inoltre scoprirono diversi fossili di trilobiti. Quando Meister, spaccò aprendo una spessa lastra di circa due pollici di roccia con il suo martello e scoprì l’impronta. La roccia si aprì come un libro, rivelando su una parte l’impronta di un piede umano, con un trilobite nella stessa impronta destra. L’altra metà della lastra di roccia mostrò un altro perfetto modello dell’impronta del piede e del fossile. Con sorpresa, l’impronta umana indossava un sandalo! Il sandalo che sembrava aver schiacciato, un trilobite vivente, era lungo 26,03 cm e largo 8,9 cm; il calcagno era intagliato più leggermente della suola, come dovrebbe essere l’impronta di una calzatura umana.The Meister Sandal Track, è un altro pezzo forte dell’evidenza che la teoria dell’evoluzione promossa nelle scuole attraverso gli stati ed il mondo,non incoraggia la “verità” ma invece mostra che è un fallimento la base stessa della teoria.

Il martello di London





La testa del martello è lunga circa quindici (15) centimetri e ha un diametro di circa due e mezzo (2,5) e dagli esami condotti è risulato che il metallo del quale è composta sembra un ferro purissimo privo di bolle e di variazioni di densità (tipo più duro in certi punti meno duro in altri) che neanche la industria moderna può produrre. proprio per questa sua composizione il metallo non si è corroso e neanche ossidato, in tutto questo tempo, nonostante gli esami sulla sua età dicono che risale forse a milioni di anni fa.

la prova più importante della sua antichità sono i fossili incrostati sulla superficie esterna del blocco che sono secondo gli studiosi risalenti al periodo siluriano, cioè intorno ai quattrocento milioni di anni fa

Papiro Tulli




Il 'Papiro Tulli' fu individuato nel 1934 nel
negozio di un antiquario, dal professor Alberto Tulli (allora direttore
del Pontificio Museo Egizio Vaticano), durante un suo viaggio di
studio, in Egitto, effettuato con il fratello, Monsignor Augusto Tulli.
La complessa e alterna vicenda del papiro incuriosisce perchè nel testo del papiro pare venga riportata la storia di una prodigiosa vicenda, cioè
una serie di strani avvistamenti di misteriosi oggetti nel cielo,
cui avrebbero assistito il Faraone Thuthmosis llI (1504- l450, circa a.
C.) e molti dei suoi sudditi. Il mistero si infittisce poichè il documento
reca la presenza di alcune cancellature in punti chiave del testo, che rendevano nebuloso il suo significato, ma che lo proiettano tra quei reperti meritevoli di approfondimento e considerazione.

Astronauta di Kiev




ecco il notissimo "Astronauta di Kiev",così denominato da Peter Kolosimo per l'abbigliamento caratteristico dei cosmonauti o dei palombari.La statuetta è in oro,è dotata di un casco che ricopre interamente il capo,fino al collo,dove si osserva una sorta di 'giuntura';la 'tuta'parrebbe trapuntata,divisa alla vita da una fascia e alle mani indossa dei ...guanti.Viene attribuito alla cultura Sciita (gruppo di tribù nomadi di origine iranica stanziatisi, tra il II ed il I sec. a.C., nella Russia meridionale).

716 dischi di pietra con bizzarre iscrizioni geroglifiche




Bisogna tornare al 1937/38 e andare in Cina,nella provincia di Qinghai. Nelle montagne del BAYAN-KARA-ULA, l'archeologo Chin Pu-Tei ritrova delle caverne contenenti scheletri minuti,gracili e con la testa enormemente sviluppata, nessun indizio eccetto 716 dischi di pietra con bizzarre iscrizioni geroglifiche disposte a spirale. Nel 1947, uno scienziato britannico, Karyl Robin -Evans sostenne di aver raggiunto le montagne sopracitate e di avervi trovato un centinaio di persone,note con il nome di DOZPA, alte in media 120 cm; visse con loro per circa sei mesi, ne imparò la lingua e gli usi e venne così a sapere che erano o si ritenevano "originari"di un pianeta nel sistema stellare di SIRIO( dopo la collisione su quell'area montuosa molto tempo prima, i superstiti si sarebbero adattati a vivere sul nostro pianeta selvaggio).Con un piccolo salto nel tempo, si arriva al 1960.Il prof.Tsum Um Nuj riesce a tradurre parzialmente le iscrizioni presenti sui dischi ,ne resta sconcertato e cerca di pubblicare i suoi studi ma viene bloccata l'operazione a causa del suo contenuto:le iscrizioni sui dischi,infatti, avrebbero narrato l'"INCIDENTE"occorso ad una navicella aliena su quelle montagne 12.000 anni fa!Riesce comunque a far uscire la pubblicazione, che viene derisa e giudicata senza senso e il professore viene deriso da tutti.Decide di emigrare in Giappone, dove termina l'ultimo manoscritto al riguardo e muore senza che nessuno,ora,sappia dove sia sepolto e dove siano le sue pubblicazioni.Va ricordato che in quella provincia,la popolazione NARRA di questa leggenda aliena e temono che gli esseri "discesi"dallo spazio possano tornare.Facciamo un altro piccolo salto nel tempo:siamo nel 1974.E'l'ultima volta che qualcuno vede i dischi(erano finiti in vari musei,nel frattempo). E' E.Wegerer, che riesce (aiutato dalla allora direttrice del museo, probabilmente)a fotografarne 2 al museo Bompo di Xi an: pesano circa 1 Kg, hanno 30 cm di diametro, con un foro centrale; in parte sono sbriciolati.Il periodo non è dei migliori:dal 1966 al '76-infatti-la rivoluzione culturale incombe sulla Cina.

Altro "salto":siamo nel 1994.H.Hausdorf inizia ad interessarsi alla faccenda della quale è venuto a conoscenza e si reca al museo Bompo.Stavolta vi è un direttore che gli spiega che i dischi e la ex-direttrice sono spariti senza lasciare traccia. Tutto può essere relegato alla leggenda? Fantascienza? Eppure, nel nov.1995, l'agenzia Associated Press ha riferito che proprio su quelle montagne era stata scoperta una comunità di 120 gnomi, il più alto dei quali misurava 120 cm e il più basso 72 cm. Da internet sono venuta a sapere che il governo ha "deportato"in tempi recenti questo popolo,forse relegando lontano dagli occhi di tutti la loro presenza e non se ne sa più nulla!!Il villaggio si chiama Huilong e dista poche centinaia di Km dalle montagne del Bayan-Kara-Ula. Alcuni scienziati hanno tentato di spiegare la bassa statura con un'alta concentrazione di mercurio presente nel suolo e che per generazioni sarebbe stato assunto attraverso l'acqua.Ma è stata smentita poichè il mercurio è un veleno che può essere mortale ma non dà modificazioni sul DNA